“Dimmi che hai, ti dirò chi sei”.
Tu sei “quella con i fibromi”, o “quella con l’endometriosi”, o “quella con la PCOS”, o “quella infertile”.
Purtroppo si, ed in parte è colpa nostra. L’attività quotidiana ci porta a categorizzare per malattia i pazienti, garantendo di certo l’assistenza, ma esitando in una depersonalizzazione delle cure.
Andrebbe invece promosso un cambio di approccio alle cure, e la medicina narrativa in questo è d’aiuto sia a medici che a pazienti.
Ogni paziente ha una storia della malattia di cui soffre che va ben oltre i sintomi riferiti e tutti i pazienti lo sanno, ma per motivi non noti omettono inconsapevolmente tanti dettagli che se da un lato rendono più prolisso il racconto, dall’altro forniscono tante informazioni utili a noi medici, in funzione di una diagnosi più certa.
Raccontare dettagli anche intimi o apparentemente lontani dalla malattia, così come esprimere i propri disagi o le proprie paure, rafforza notevolmente il rapporto di fiducia tra medico e paziente.
Sta quindi a noi recepire queste informazioni, magari con un sorriso ed un “ sai, è successo anche a me”.
Ritengo che la medicina narrativa possa manifestarsi inoltre in immagini, suoni, video, musiche.
E’ qualunque cosa che riesca a catturare l’attenzione di una paziente al fine di renderla più informata e quindi più tranquilla.
Anche quella che facciamo sui social è medicina narrativa e se solo una di voi avrà beneficiato delle informazioni che quotidianamente vi fornisco, potrò definirmi un medico felice.
Come sempre la chiave è parlare, ascoltare, raccontare, confrontare le proprie esperienze in maniera empatica, per non essere una malattia, ma essere una persona.